CENTENARIO DELL’EVANGELIZZAZIONE DEI MISSIONARI DELLA CONSOLATA IN TANZANIA
21 aprile 1919, ore 21
Affascina di più il sole o la luna? Meglio il sole che illumina il giorno o la luna che rischiara la notte?
L’Africa di ieri gradisce soprattutto l’astro del giorno e assai meno il pianeta della notte.
All’alba si esce per zappare il campo, condurre pecore e capre al pascolo, raggiungere il mercato.
Al tramonto ci si rifugia in casa attorno al fuoco, compresi i mariti un po’ brilli di ritorno dall’osteria.
Non fa eccezione il Tanzania, anche perché la tenebra è il tempo dei ladri, del leopardo e della iena, nonché degli stregoni con i loro traffici loschi.
E, tuttavia, i primi missionari della Consolata misero piede in Tanganyika/Tanzania proprio di notte, alle ore 21 del 21 aprile 1919. Però, il giorno successivo, eccoli nel sole glorioso, pronti a «rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace» (Luca 1, 78-79).
Da Dar Es Salaam, «porto della pace», iniziò l’avventura missionaria dei nuovi arrivati: i padri Giovanni Ciravegna, Giacomo Cavallo, Gaudenzio Panelatti e Domenico Vignoli. Missionari italiani, ma provenienti dal Kenya.
Perché dal Kenya? Perché dal Kenya ci «fu un atto di carità che noi missionari della Consolata abbiamo compiuto», scrisse monsignor Filippo Perlo, vicario apostolico in quel paese, sul numero di agosto del 1922 di «La Consolata».
Perlo aveva ricevuto un appello da parte di Thomas Spreiter, vicario apostolico in Tanganyika, di rimpiazzare con i missionari della Consolata i Missionari Benedettini tedeschi, costretti ad abbandonare la colonia del Tanganyika dopo la sconfitta della Germania nella Prima guerra mondiale.
Perlo spiegò quell’«atto di carità» precisando: «Pare una contraddizione che siano dei poveri a fare la carità, mentre questo sarebbe un naturale affare dei ricchi. Dobbiamo arrabattarci per far fronte alle esigenze presenti senza riuscirci. Ciò nonostante troviamo del personale per “imprestare” ad altri».
Imprestare? Il termine non centrava in pieno il valore del gesto dei missionari, perché la loro «carità» non sarà “ad tempus”, bensì totale. E dura tuttora a 100 anni di distanza.
(dal dossier di p. Francesco Bernardi)
Una stella polare
Oggi e domani, strada facendo «guarite gli infermi» (Matteo 10, 8).
L’attenzione agli ammalati è una «stella polare» nell’evangelizzazione missionaria. Lo conferma anche il Consolata Hospital Ikonda, diocesi di Njombe.
Però quanta fatica, pure psicologica! I luterani, numerosi in quella regione, ostacolarono l’ospedale in tutti i modi. Eravamo nel 1964-65, quando l’ecumenismo era una chimera.
L’ospedale nacque nel 1968, con l’applauso di Julius Nyerere, presidente della nazione, che inaugurò la struttura con 60 posti letto.
Oggi i posti letto rasentano i 400, senza contare i bimbi nati prematuri e le donne in attesa di partorire.
Le corsie sono dieci, sei le sale operatorie, due le sale parto, un laboratorio ortopedico, il «delicatissimo» reparto per sieropositivi (Aids), la ricca farmacia, la tac, la risonanza magnetica.
Realtà che in Italia sono normali, come il caffè al bar. Ma a Ikonda, dove i denari li maneggi con il contagocce, dove le strade sono più insidiose dei serpenti, dove l’elettricità costante è solo una speranza remota (e quindi, per rendere efficienti le sale operatorie, necessiti di costose turbine che i fulmini mettono a ko a ogni piè sospinto), non sono realtà scontate.
Allora l’ospedale di Ikonda cade e si rialza ogni mattina. Il suo sviluppo ricorda il detto africano: il maestoso baobab è stato una foglia seminata dal vento.
«Perché avete costruito l’ospedale fuori dal mondo – chiesi a padre Sandro Nava, direttore della struttura -. Altrove, gli ammalati lo raggiungerebbero con maggiore facilità e minore spesa, non ti pare?». Il missionario mi guardò stupito, come se avessi scoperto l’acqua calda. Poi rispose: «Certo, un ospedale a Makambako o Njombe sarebbe più comodo e, per noi, più redditizio. Però sarebbe un ospedale per gente di città, non per poveri sperduti su queste vallate come pecore senza pastore. Un ospedale così sarebbe ancora un ospedale missionario?».
Lasciai padre Sandro e sostai nell’ingresso, dove campeggia la scritta: «Il bene va fatto bene».
È l’impegno dell’ospedale di Ikonda, alla scuola del Beato Giuseppe Allamano.
(dal dossier di p. Francesco Bernardi)
“MEMENTO”
Missionari defunti che hanno lavorato al Consolata Hospital
Bargetto P. Giuseppe
(1919 – 2003)
Negro P. Luigi
(1921 – 2007)
Moratti P. Giuseppe
(1928 – 2013)
Lanzi Fr. Liduino
(1930 – 2017)
Gai Fr. Romolo
(1931 – 2000)
Barbanti P. Luigi
(1923 – 1999)
Chiuch P. Emilio
(1922 – 2001)
Battifolo P. Giorgio
(1928 – 2007)
Ceschia P. Romano
(1924 – 1918)